15 marzo 2013 |
Ancora sui criteri distintivi tra concussione e induzione indebita: una soluzione sincretistica dalla Cassazione
Cass. pen., sez. VI, sent. 11 febbraio 2013 (dep. 12 marzo 2013), n. 11794, Pres. Milo, Rel. Aprile, Imp. Melfi
1. Sono state depositate le motivazione della sentenza Melfi della Cassazione, di cui questa Rivista aveva fornito tempestiva informazione provvisoria lo scorso 13 febbraio, sui criteri distintivi tra la riformulata fattispecie di concussione 'per costrizione' (art. 317 c.p.) e nuova fattispecie induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater c.p.).
2. I fatti concreti oggetto della decisione concernevano le condotte poste in essere dal sindaco di un comune lucano che, abusando della propria superiorità gerarchica all'interno dell'ufficio della Pubblica amministrazione, aveva fatto pressioni sul capo del settore urbanistico dello stesso comune affinché costui, intervenendo illecitamente, in un'occasione, nell'ambito di una gara pubblica di appalto e, in un'altra occasione, nell'ambito di una trattativa privata, assicurasse l'attribuzione degli appalti pubblici alle imprese indicate dal sindaco. In particolare, le pressioni erano consistite nella minaccia di ritorsioni nei confronti del dipendente comunale, come ad esempio la prospettazione della rimozione dall'incarico e del trasferimento presso altro comune; ed inoltre nel ricordare minacciosamente al dipendente come la sua pregressa assunzione lavorativa presso l'ente comunale fosse stata decisivamente condizionata dall'intervento dello stesso sindaco in seno alla commissione esaminatrice deputata alla selezione dei candidati. Per tali fatti, il sindaco era stato condannato a titolo, rispettivamente, di tentata concussione e di concussione consumata.
3. Contro la sentenza di condanna, la difesa dell'imputato aveva proposto ricorso per Cassazione, eccependo - tra l'altro - come il fatto concreto dovesse essere correttamente sussunto nella nuova e più favorevole fattispecie di induzione di cui all'art. 319-quater c.p. (da cui sarebbe derivato, peraltro, il decorso dei tempi massimi di prescrizione del reato, essendo stati i fatti commessi nel corso dell'anno 2000). La Corte, nel rigettare il ricorso e confermare la condanna, traccia la differenza tra "costrizione" (art. 317) e "induzione" (art. 319 quater c.p.) sul piano della modalità di condotta e sul grado di coartazione morale che ne deriva: "Nel primo caso si parla di costrizione perché la pretesa ha una maggiore carica intimidatoria, in quanto espressa in forma ovvero in maniera tale da non lasciare alcun significativo margine di scelta al destinatario; mentre, nel secondo caso, si parla di induzione perché la pretesa si concretizza nell'impiego di forme di suggestione o di persuasione, ovvero di più blanda pressione morale, sì da lasciare al destinatario una maggiore libertà di autodeterminazione". Conseguentemente: "la prima descrive una più netta iniziativa finalizzata alla coartazione psichica dell'altrui volontà, che pone l'interlocutore di fronte ad un aut-aut ed ha l'effetto di obbligare questi a dare o promettere, sottomettendosi alla volontà dell'agente (voluit quia coactus); la seconda una più tenue azione di pressione psichica sull'altrui volontà, che spesso si concretizza in forme di persuasione o di suggestione ed ha come effetto quello di condizionare ovvero di spingere taluno a dare o promettere, ugualmente soddisfacendo i desiderata dell'agente (coactus tamen voluit). In entrambe le ipotesi, comunque, la condotta si risolve in una "pressione psichica relativa (...) che determina, proprio per l'abuso della qualità o dei poteri da parte dell'agente, uno stato di soggezione nel destinatario".
4. In questa prospettiva, la Corte precisa come la condotta debba "sempre contenere una più o meno esplicita prospettazione di un male ovvero di un pregiudizio", che però "non deve essere necessariamente contra ius", in quanto può concretizzarsi anche nella prospettazione di una conseguenza dannosa derivante dall'esercizio dei poteri da parte del pubblico ufficiale in maniera formalmente doverosa; tale minaccia, benché in sé non contraria al diritto, "diventa ingiusta perché connessa al perseguimento di un fine illecito, posto che l'omesso esercizio di quel potere viene condizionato dal soddisfacimento dell'indebita richiesta di dazione o di promessa".
5. Con tali argomentazioni, la Corte sembra adottare un criterio distintivo tra gli artt. 317 e 319-quater c.p. diverso e alternativo rispetto a quello finora emerso da altre pronunce della Suprema Corte (cfr. Cass. pen., sez. VI, 3 dicembre 2012, n. 3251, Roscia: clicca qui per scaricare la sentenza, e clicca qui per accedere alla scheda illustrativa dell'informazione provvisoria a cura di G. Leo; Cass., 3 dicembre 2012, n. 7945, Gori: clicca qui per scaricare la sentenza e la scheda di F. Viganò), che hanno invece valorizzato il carattere "ingiusto" del male prospettato dal pubblico ufficiale come tratto caratterizzante la figura della concussione.
Nell'ultima parte della motivazione in diritto (§ 4.3), tuttavia, la sentenza sviluppa un argomento che potrebbe in qualche modo 'ricomporre' quello che si profilerebbe, altrimenti, come un insanabile contrasto 'interno' alla VI sezione della Cassazione penale. I giudici, infatti, riconoscono come la distinzione "basata esclusivamente sul maggiore o minore grado di coartazione morale" possa dare adito a complesse difficoltà interpretative nel momento in cui si tratta di concretizzare nella prassi applicativa tale criterio astratto di differenziazione delle condotte tipiche; al fine di ovviare a tale inconveniente, viene individuato - quale criterio discretivo integrativo - "un elemento obiettivo che, in molte fattispecie, può servire a dare ai due concetti in esame un tasso di maggiore determinatezza": il tipo di vantaggio che il destinatario di quella pretesa indebita consegue per effetto della dazione o della promessa di denaro o altra utilità". In particolare, il soggetto privato "è certamente persona offesa di una concussione per costruzione se il pubblico agente, pur senza l'impiego di brutali forme di minaccia psichica diretta, lo ha posto di fronte all'alternativa 'secca' di accettare la pretesa indebita oppure di subire il prospettato pregiudizio oggettivamente ingiusto (...). Al contrario, il privato è punibile come coautore nel reato se il pubblico agente, abusando della sua qualità o del suo potere, formula una richiesta di dazione o di promessa ponendola come condizione per il compimento o per il mancato compimento di un atto, di un'azione o di un'omissione, da cui il destinatario della pretesa tra direttamente un vantaggio indebito: dunque, egli non è vittima ma compartecipe laddove abbia conservato un significativo margine di autodeterminazione o perché la pretesa gli è stata rivolta in forma più blanda o in maniera solo suggestiva, ovvero perché egli è stato 'allettato' a soddisfare quella pretesa dalla possibilità di conseguire un indebito beneficio, il cui perseguimento finisce per diventare la ragione principale della sua decisione".
6. In sostanza, questa nuova e articolata sentenza della VI sezione della Cassazione sembra aver operato una sintesi fra il criterio distintivo fondato sugli effetti (in relazione al grado di coartazione della volontà del privato) o comunque sulla modalità della condotta del pubblico agente (al quale sembra aver aderito Cass. pen., sez. VI, 4 dicembre 2012, n. 8695, Nardi: clicca qui per accedere alla sentenza e alla scheda di F. Viganò) e quello basato sul carattere, giusto o ingiusto, del male prospettato al privato (il vantaggio 'indebito' proprio della fattispecie induttiva altro non è, infatti, che l'altra faccia del danno 'ingiusto' che - secondo la sentenza Roscia e la sentenza Gori - caratterizzerebbe la fattispecie concussiva), sulla quale i giudici della Suprema Corte potrebbero trovare una convergenza di opinioni ed evitare di chiamare in causa le Sezioni Unite.
Certo, il caso sub iudice - riconducibile piuttosto facilmente alla condotta di costrizione dell'art. 317 c.p. - non rappresenta il test più affidabile su cui saggiare la coerenza sistematica della soluzione proposta. Più delicati problemi applicativi si porranno in relazione all'inquadramento delle condotte induttive che si collocano al confine con le fattispecie corruttive: in questi casi, i criteri nettamente (e opportunamente) tracciati dalla Cassazione per definire i contorni di tipicità dell'art. 319-quater c.p. rischiano forse di erodere spazio alle condotte di istigazione alla corruzione attiva e alle stesse figure di corruzione (art. 319 c.p.) e, conseguentemente, di modificare i tradizionali confini tra le diverse fattispecie di reato, modellati sulla base del sistema punitivo previgente.
Sui temi affrontati in questa scheda introduttiva, si vedano altresì i più recenti documenti di cui all'elenco contenuto nella colonna di destra a fianco.