24 gennaio 2015 |
Un pregiudizio 'grave e attuale'? A proposito delle prime applicazioni del nuovo art. 35-ter ord.penit.
Editoriale
1. Una profonda faglia percorre la prima giurisprudenzariguardante l'art. 35-ter ord. penit., che, in ottemperanza ad una prescrizione della Corte europea (sent. 8 gennaio 2013, Torreggiani e altri contro Italia), ha introdotto nel nostro sistema «rimedi risarcitori conseguenti alla violazione» dell'art.3 C.e.d.u. (divieto di tortura) «nei confronti di soggetti detenuti o internati»; rimedi che, come è noto, consistono nella riduzione di un giorno di pena per ogni dieci giorni di detenzione inumana ovvero in una somma di otto euro per ogni giorno di siffatta detenzione. Che l'assoluta novità e la particolare complessità della materia preludessero a inevitabili problemi applicativi nella fase di "rodaggio" era facilmente prevedibile; e così, infatti, è stato: la magistratura di sorveglianza sta fisiologicamente prendendo le misure nei confronti di questioni inedite e delicate, ed è un "prezzo" che non si può non pagare, con l'auspicio che progressivi aggiustamenti, se del caso orientati anche dalla guida nomofilattica della Suprema Corte, portino in tempi ragionevoli ad un soddisfacente, uniforme assestamento. Ma la faglia giurisprudenziale cui si alludeva all'inizio, da un lato, sarebbe stata evitabile con un più accorto e sorvegliato drafting legislativo, dall'altro, genera conseguenze particolarmente gravi sia sul piano internazionale che interno. Ci si riferisce al problema dell'individuazione del giudice competente a decidere sulla richiesta del detenuto che invoca un risarcimento per l'inumano trattamento subìto, ancorché non più attuale [...].